SEREGNO – Giovedì mattina cerimonia di intitolazione della Cardioriabiltazione dell’ospedale di Seregno a Norman Jones, scomparso nel marzo dello scorso anno a causa del Covid e a lungo, dal 2005 al 2017, primario della struttura del Trabattoni-Ronzoni.
Dell’Ospedale di Seregno era stato a lungo un punto di riferimento, meritandosi stima e affetto. Prima di giungere in via Verdi era stato dirigente cardiologo all’Ospedale Borella di Giussano e, prima ancora, specialista presso la struttura ospedaliera di Carate: tutti presidi conferiti all’allora Azienda Ospedaliera di Vimercate, per la quale aveva lavorato per 42 anni.
Norman Jones era nato nel ’47 a Swansea in Galles, da padre gallese e madre friulana. Trasferitosi in Italia con la famiglia, s’era iscritto a Medicina, all’Università degli Studi di Milano, dove si era laureato nel ’73 e, successivamente, specializzato in cardiologia.
Nel corso della cerimonia, Marco Trivelli, direttore generale di Asst Brianza ha sottolineato, fra l’altro, come l’intitolazione alla memoria di Norman Jones, rappresenti un segno importante dell’attenzione che l’Azienda Socio Sanitaria della Brianza ha per una attività riabilitativa che è parte integrante fondamentale dell’offerta sanitaria dell’Asst. Presente all’evento anche Laura Capelli, assessore del Comune di Seregno alle Politiche sociali.
Intervenuti significativamente alla cerimonia, inoltre, Raffaella Jones, figlia di Norman; Mariangela Perego, collaboratrice di Jones e a sua volta primario fino a poche settimane fa della Cardioriabilitazione (oggi in pensione), oltre ad Antonella Merlo, caposala del reparto.
“Mio padre era un uomo pacato – ha raccontato la figlia Raffaella -, razionale e mai impulsivo. Aveva una grandissima dote, quella dell’ascolto e, a volte, i suoi silenzi parlavano più di mille discorsi. Era un professionista esemplare, così devoto al suo lavoro da saper scindere il suo suolo di medico da quello di genitore, anche nelle situazioni più serie, e forse per questa sua intransigente professionalità è stato così amato dai suoi pazienti e colleghi nel corso degli anni; ma dietro quel camice nascondeva un uomo e un carattere articolato, molto umano e sensibile e a volte anche fragile. Amava la vita: l’ha vissuta nel miglior modo possibile, senza rimpianto, cercando di non sprecare nulla di quello che gli era stato donato e che aveva duramente guadagnato”.