CARATE BRIANZA – I Comuni non navigano nell’oro, ma con le risorse che hanno a disposizione devono continuare a far fronte alle necessità dei cittadini nell’ambito dei Servizi sociali. Affinché anche le persone più svantaggiate, o quelle che non hanno più la possibilità di essere sostenute da una famiglia, possano comunque ricevere un’adeguata. L’amministrazione comunale, proprio in questi giorni, ha deciso di stanziare per questo 150 mila euro.
La fetta più grossa, 85 mila euro, è destinata alle persone disabili. O, meglio, al loro inserimento in strutture residenziali per il primo semestre del 2020. Un compito che la legge assegna ai Comuni in cui risiedono queste persone. In totale sono otto i cittadini disabili caratesi che non possiedono i mezzi sufficienti a coprire l’intera quota della retta dell’istituto, rendendo necessario l’intervento dell’amministrazione comunale. Contributi che variano da un minimo di circa 3 mila euro a un massimo di 17 mila euro a persona.
E’ davvero consistente anche la quota destinata al ricovero delle persone anziane. In proporzione è superiore a quella dei disabili: perché in questo caso i 49 mila euro stanziati dall’amministrazione comunale bastano soltanto a coprire le spese (per la quota integrale della retta o come integrazione) per il primo trimestre dell’anno. Si tratta di dodici persone complessivamente, di cui cinque nella struttura residenziale cittadine, due a Besana in Brianza, uno a Briosco, uno a Colico, uno a Varese, uno a Mariano Comense, uno a Menaggio e uno a Milano.
A questi importi se ne aggiunge uno, di dimensioni più contenute, ma che riguarda una terza tipologia di intervento decisamente delicata: si tratta dei minori in affido, affinché possano trovare un nuovo ambito familiare e, di conseguenza, nuovi punti di riferimento affettivi ed educativi che possano essere d’aiuto nel percorso di crescita. Il Comune di Carate Brianza, al momento, si trova a dover gestire e supportare sei di questi casi, per un impegno di spesa superiore agli 8 mila euro che va a coprire l’attività educativa del primo trimestre dell’anno. Nella speranza che dal tribunale non arrivino nuove richieste: non tanto per un discorso strettamente economico, quanto pensando al fatto che il fenomeno del disagio minorile, a causa di situazioni familiari complesse, possa ridursi nel tempo.